Consiglio di Stato: il Decreto Trasparenza è da rivedere

Bene il principio, dubbia l’efficacia concreta soprattutto in fase di applicazione.

Il Consiglio di Stato, come previsto dall’Articolo 1.2 della Riforma della Pubblica Amministrazione, ha espresso il suo parere in merito al Decreto Trasparenza sollevando numerose perplessità e avanzando diverse proposte di modifica. Tecnicamente, il parere non è vincolante per il Consiglio dei Ministri che dovrà approvare la legge entro fine aprile, ma dà indicazioni che possono essere recepite.

Pur apprezzando e sostenendo, infatti, l’introduzione di una norma che renda la pubblica amministrazione “trasparente come una casa di vetro”, il Consiglio di Stato, in linea con quanto già individuato da FOIA4Italy, ha evidenziato le numerose manchevolezze e incongruenze di un testo definito non in tutte le sue parti “facilmente intellegibile e di piana ed agevole lettura”.

Un’evoluzione importante è sicuramente il riconoscimento, al pari dei sistemi di Freedom of Information Act anglosassoni, di un vero e proprio diritto alla richiesta degli atti in mano alle pubbliche amministrazioni: ciò può realizzarsi a qualunque fine, senza obbligo di motivazioni e soprattutto senza la necessità che il richiedente abbia un interesse “diretto, concreto e attuale” come previsto dalla legge 241/1990 che attualmente regola l’accesso ai documenti amministrativi.

Tuttavia il Consiglio di Stato è molto chiaro su un punto: questo principio rischia di rimanere lettera morta se non accompagnato da modifiche al testo e da una grande attenzione alla fase di attuazione.

PROCEDURE PIÙ SEMPLICI

Innanzitutto il Consiglio di Stato definisce “incongruo” l’obbligo in capo ai cittadini di “identificare chiaramente” i documenti, i dati o le informazioni di cui hanno bisogno: come potrebbero d’altronde conoscere la collocazione di documenti in archivi ai quali non hanno accesso?

Il Consiglio di Stato aggiunge poi l’esempio “della richiesta di notizie circa la situazione affittuaria di un immobile di proprietà di una amministrazione pubblica, per il quale potrebbe essere pretesa l’indicazione dei dati catastali al fine dell’esercizio del diritto di accesso civico.”

Più corretta sarebbe, invece, la richiesta di un’identificazione della “natura ed oggetto” dei documenti desiderati.

Le procedure di richiesta devono essere, inoltre, più semplici, privilegiando l’invio telematico e individuando un unico ufficio-sportello segnalato sul sito di ogni amministrazione (“una sorta di desk telematico unico per la trasparenza”) che si occupi di raccogliere e gestire in prima istanza le richieste di accesso inviate dai cittadini.

In questo modo si abbatterebbero i  tanto temuti costi per le Pubbliche Amministrazioni “fino forse a renderli irrilevanti” e a permettere l’eliminazione nel decreto della richiesta ai cittadini di rimborsare i costi sostenuti dalle pubbliche aministrazioni.

SILENZIO RIGETTO e SANZIONI

Particolarmente dura è la posizione sul silenzio-rigetto e sulla mancanza di qualsiasi obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni di fornire una motivazione in caso di rifiuto o di mancata risposta.

Il silenzio-rigetto – ovvero il principio secondo il quale “se la pubblica amministrazione non ha risposto entro 30 giorni, la richiesta si intende rifiutata” – viene, infatti, definito “un istituto non poco problematico dal punto di vista della partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa” soprattutto se accoppiato con la mancanza di un obbligo di motivazione.

Il Consiglio di Stato definisce esplicitamente un paradosso il fatto che una legge che intende promuovere la trasparenza neghi ai cittadini la possibilità di conoscere in maniera trasparente gli argomenti in base ai quali non gli è stato accordato l’accesso richiesto.

In assenza anche di “chiare disposizioni sanzionatorie” a carico dell’amministrazione che neghi l’accesso agli atti in mancanza di solidi e verificabili presupposti, il cittadino torna così alla complicazione di partenza: trascorsi invano trenta giorni, non gli resta che “l’onerosa incombenza di agire in giudizio per vedere riconosciute le proprie ragioni, senza peraltro conoscere quelle per cui l’amministrazione gli ha negato determinate informazioni”.

Questo, aggiunge il Consiglio di Stato, “rappresenterebbe un evidente passo indietro rispetto alla stessa legge n. 241 del 1990 e al generale obbligo di motivazione dalla stessa previsto”: sarebbe dunque doverosa l’espressione di una motivzione, anche se in forma sintetica.

ECCEZIONI

Altra osservazione è la previsione di “numerose e non sempre puntuali” eccezioni a tutela di interessi pubblici e privati che rendono, di fatto, dubbia la concreta efficacia del decreto.

La mancanza di criteri più dettagliati, infatti, lascia troppo spazio alla discrezionalità delle pubbliche amministrazioni e rischia di fare insorgere ulteriori contenziosi in tematiche sensibili quali ad esempio, le “questioni militari” o le “relazioni internazionali.

Una soluzione, secondo il Consiglio di Stato, potrebbe essere la redazione di linee guida che chiariscano meglio come applicare tali eccezioni.

APPLICAZIONE

Il Consiglio di Stato evidenzia la rilevanza cruciale della ‘fase attuativa’ del Decreto Trasparenza: in molti casi, infatti, “i problemi della pubblica amministrazione dipendono dalla cattiva o mancata attuazione delle leggi, se non dall’eccesso o dal disordine di esse”.

Per questo viene suggerita la creazione di una “cabina di regia” che garantisca piena attuazione al decreto e coordini le parti coinvolte: secondo il Consiglio, tale cabina “potrebbe vedere la partecipazione non soltanto delle strutture ministeriali volta per volta coinvolte, ma anche di quelle responsabili per la formazione, la comunicazione istituzionale, l’informatizzazione, nonché di tutti gli altri soggetti pubblici, anche indipendenti, coinvolti”

In secondo luogo si invita l’Esecutivo ad aprirsi “all’ascolto di voci esterne” tramite l’utilizzo dello strumento delle audizioni o la ricezione di “pareri scritti provenienti da soggetti, anche privati, rappresentativi dei destinatari degli schemi di normativa”.

Nelle prossime settimane sono attesi i pareri, sempre non vincolanti, del Parlamento e della Conferenza Stato-Regioni sul testo del decreto.

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